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 LA “MOZZA” DI SERRA SANT’ABBONDIO

Intorno all'anno mille, nel più profondo Medioevo, Serra era un piccolo nucleo abitato, ma le notizie di allora, in un periodo che gli stessi storici definiscono “l'Italia dei secoli bui”, sono pervenute a noi solo attraverso racconti orali tramandati da generazione in generazione nelle veglie davanti al camino nelle fredde sere d'inverno.

In quel periodo, il Castellano, per autorità conferitagli da altri a lui superiori, soggiogava con prepotenza e ferocia tutti i poveri serrani, che considerava come schiavi e ne abusava fino ad applicare una legge che a quei tempi si chiamava "Jus Primae Noctis", cioè il diritto della prima notte, per cui ogni sposa era costretta a passare la prima notte di nozze col Castellano.
Ma uno dei suoi armigeri volle ribellarsi a questa legge iniqua.

Si chiamava Ariodante, un giovane sui vent'anni molto dotato e abilissimo con arco e balestra; era il capo dei dodici armati che anche in tempo di pace presidiavano Serra. In accordo con un amico fidato, che lo sostituiva durante le ore di ronda, scendeva dagli spalti della fortezza e andava a trovare la sua innamorata, che era una ragazza d'Ilicea, l'odierna Leccia.

Era una splendida ragazza in fiore, di sedici anni, con una folta chioma di capelli biondi, per questo la chiamavano Rosabella dalla flava coma (bionda chioma). Rosabella aveva già respinto le proposte d'amore di un altro armigero, il maestro di caccia e pesca, un uomo perfido che aveva già denunciato gli abusivi che cacciavano o pescavano nelle riserve del Castellano, condannandoli a pene indicibili.

Questi un giorno scoprì i due amanti e, pieno di odio e gelosia, li denunciò al Castellano.
Aristodante fu subito mandato a chiamare, presentatosi al cospetto del Castellano, fu rimproverato per aver nascosto il suo fidanzamento e i due si sfidarono a duello. Il perfido Castellano ebbe la meglio e uccise il giovane innamorato.

Lo stesso giorno, il Castellano ordinò ai suoi sgherri di andare a cercare la ragazza e di ucciderla dove l’avessero trovata. La misera giovane, ignara di quanto era accaduto al suo innamorato, era intenta a pascolare le sue pecorelle. Si vide a un tratto circondata dagli sgherri del Castellano e, gridando di spavento, correva cercando riparo nella boscaglia. Fu raggiunta da quegli uomini feroci, i quali, presala per la lunga capigliatura, le mozzarono la testa e la esposero a Serra, quale monito per chi trasgrediva le leggi.

Dopo molti anni, in una splendida notte di luna piena, un boscaiolo che accudiva la sua carbonaia accesa in quel posto che si chiama “Vallocaia”, fu testimone di una visione straordinaria: dapprima udì in lontananza delle grida di donna che sempre più si avvicinavano. Poi, sul limite della boscaglia che ricingeva la piccola radura, apparve una giovane donna quasi ignuda coperta di un velo bianco che, correndo e gridando terrorizzata, cercava scampo da un manipolo di armigeri.

La donna si fermò davanti al fuoco del bivacco, ecco allora venirle incontro un armigero, in sella a un cavallo bianco che, senza fermare il galoppo, l’afferrò per la vita e la portò con sé attraverso le fiamme per poi innalzarsi come in volo verso la cima del monte.

Si credette che quei due fossero i poveri innamorati Aristodante e Rosabella e nelle vecchie carte fu scritto: “… et nocte luna plena per focu purificationis montem Coelio advolaverunt” (e in una notte di luna piena, attraverso il fuoco di purificazione, volarono verso il cielo).

Con gli anni il luogo di purificazione dove la povera ragazza morì fu chiamato “Col della Mozza” e il monte verso il quale volarono a cavallo i due amanti “Monte Cilio”, cioè Monte del Cielo.

 

Bollettino parrocchiale di Serra Sant’Abbondio, ottobre I989

 


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